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Saluti e baci da Palermo

Ci sono periodi della vita stressanti e poi ci sono periodi della vita in cui anche lo stress è così stressato, da aprire una spaccatura spazio-temporale per cui i possibili scenari sono:

  • Entrare nel sottosopra come Will e ricominciare una nuova vita. Se digitate da fuori Hawkins, qui un piccolo esempio che vi aiuterà a stare al passo con i tempi, facendo finta di sapere cose.
  • Trovare un eremo, comprare un eremo, entrare nell’eremo e vivere di ciò che la natura offre. La sera ubriacarsi con Fratello Sole e Sorella Luna.
  • Iniziare un percorso di analisi ma senza navigatore, perdersi nei meandri della mente e chiedere indicazioni a una delle molteplici personalità che vi abitano. Purtroppo hanno il senso dell’orientamento di un ubriaco, di notte.
  • Scrivere. Molto più economico della terapia, forse non vi renderà sufficientemente ricchi per fare tutte le cose finora citate, ma finché qualcuno legge Fabio Volo, voi potete sempre sognare.

Se poi scrivete di qualcosa di veramente bello, continuerete ad avere un misero stipendio ma l’animo si alleggerirà per qualche ora. Il mio pensiero felice di oggi è Palermo.

Ne ho già parlato e scritto e fotografato, ma per me Palermo continua a rappresentare il porto sicuro in cui trovare rifugio durante le tempeste emotive. È la città dove voglio tornare ogni tanto per farmi coccolare dalle persone amate e riportare a casa il pacco da giù ma fatto di bei ricordi. Ma soprattutto è il posto dove portare il fidanzato di turno per farlo conoscere, una sorta di battesimo del fuoco per capire se effettivamente può essere il partner giusto. Non credo di volere al mio fianco qualcuno che non ami due città in particolare: Palermo e New York.

Stavolta, poi, l’occasione si presentava ghiotta, letteralmente. Passare il 25 aprile partecipando alla famosa “arrustuta”, la grigliata di carne mastodontica di cui avevo solo sentito parlare.

Arriviamo in un feriale e già caldo mercoledì, respirando, appena le porte dell’aeroporto si aprono, l’aria densa e salmastra. Scegliamo un b&b al centro di Palermo per avere la possibilità di girarla a piedi senza grandi spostamenti. Il Dottore mi dà soddisfazione dal momento in cui scendiamo dall’autobus che dall’aeroporto porta in città: guarda con i suoi occhi sorridenti i palazzi e le strade, fotografa ogni mattonella che incontra e, dall’alto del suo stomaco di ventottenne che tutto rumina e tutto digerisce, al primo bar che incontra si infila dentro e compra un’arancina abburro. E non una qualsiasi, ma la versione “bomba” che è tipica del Bar Touring, una granata di riso prosciutto cotto mozzarella e credo besciamella che solo pochi fisici sono in grado di far esplodere senza conseguenze.

Il Kantuni B&B è un appartamento delizioso in una vietta laterale rispetto alla più caotica via Maqueda, gestito da una delle coppie a cui mi sono più affezionata nel tempo: Eva e Alessandro. Ho conosciuto questo bed and breakfast per caso quando mi serviva un appoggio durante una notte di passaggio e ci sono tornata volentieri appena ho potuto. Intanto perché sono una viziata ragazza di città con problemi di adattamento in posti che non siano puliti e confortevoli. E il Kantuni lo è. Poi perché ha una posizione strategica, è arredato con gusto e i padroni di casa sono accoglienti, ospitali e alla mano. Se volete pure una fetta vicino all’osso, loro probabilmente ve la taglieranno. Tempo che il Dottore assapori la prima arancina della sua vita, guardandomi con uno sguardo che non aveva neanche quando mi sono spogliata la prima volta, usciamo per la nostra prima serata palermitana.

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Ci sono due o tre cose che bisogna sapere prima di arrivare a Palermo. La prima: qui il cibo da strada è una faccenda seria. La seconda: è economico. La terza: è quasi sempre fritto. Quindi per la nostra prima sera veniamo portati da Franco U’ Vastiddaru, che se non ho capito male è colui che prepara la vastedda, cioè il panino con la milza. Mangiamo tutto ciò che può essere cotto nell’olio bollente e non contenti affrontiamo anche il panino con la disinvoltura di un sicario. Determinati, veloci e senza lasciare traccia. Dopodiché ci spostiamo in uno dei tanti locali che animano Palermo.

Il vantaggio di essere accompagnati in una città dai suoi abitanti è che puoi fare la loro vita, fuori dai circuiti turistici tradizionali. Andiamo al Punk Funk, locale poliedrico dove comprare un vinile, ascoltare musica dal vivo e bere un cocktail seduti sui sedili di legno dei vecchi cinema. Il mio consiglio è di ordinare un fresconegro, una bevanda che non tutti conoscono ma che dovete provare. Fa digerire, è dissetante e ubriaca che è una meraviglia. Due di quelli e il fritto sarà un lontano ricordo.

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GIORNO DUE – L’ARRUSTUTA. La cosa bella di Palermo, è che non fai in tempo a digerire che subito ti stanno offrendo qualcos’altro. La mattina dopo siamo pronti per affrontare una delle più buone grigliate mai assaggiate, fatta eccezione per una recente a casa di un collega del Dottore, dove ho provato delle ribs da lode con bacio accademico e anche una palpatina un po’ ammiccante.

Ci sono un altro paio di cose da sapere su Palermo: non necessariamente i suoi abitanti sono cordiali, alcuni sono burberi e diffidenti, ma qui ho anche conosciuto tra le persone più generose e accoglienti della mia vita. Persone con il cuore grande quanto un’arancina bomba e la capacità di raccontare la loro terra con una passione travolgente. La seconda questione riguarda le donne, che sono bellissime e magrissime e qualsiasi altra accezione positiva in issime. Come facciano a essere così longilinee con tutto quel grasso di cui sono costruite le loro case, è spiegabile dallo stesso principio dei Tuareg che non sudano nel deserto. Quando preparerete la valigia per Palermo, assicuratevi che rimanga spazio per una robusta dose di autostima che vi faccia continuare a mangiare, anche quando vi passeranno davanti con le loro pance piatte e le cosce tornite dentro shorts in cui non riuscirei neanche a infilare un braccio.

Ma torniamo a noi. La casa di Meddi e Manu, tra gli amici più cari che abbiamo, si presenta esattamente come ci si aspetta da una casa in un giorno di festa: un sacco di amici, animali che sonnecchiano all’ombra, un unico tavolo dove qualcuno ha già aperto le prime birre.

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Di quella giornata ricordo tutto o quasi tutto, visto che non dico mai di no all’alcol essendo stata cresciuta con una rigida educazione. Ricordo le risate, l’atmosfera rilassata, le chiacchiere e i barbecue sui balconi del vicinato, ma soprattutto ricordo la carne. Ora, ogni paese ha una sua tradizione in fatto di carni: come vengono condite, servite, cucinate. A Palermo ho assaggiato il mangia e bevi, un cipollotto attorno a cui è avvolta della pancetta, le stigghiole, un budello di agnello servito con o senza cipolla, e gli involtini alla palermitana, ripieni di uvetta pinoli formaggio e qualcosa che somiglia alla mia idea di Paradiso.
Ecco, se non siete di quelli che hanno il palato di un bambino capriccioso, fatevi indicare dove poter trovare alcune di queste prelibatezze. Il mio consiglio è di andare in uno dei tanti mercati palermitani, dove già dalla mattina il fumo della brace è lì pronto a darvi il buongiorno.

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GIORNO TRE – È il giorno dedicato al turismo duro e puro, quello in cui inizi a camminare e non sai quando né se ti fermerai. Si comincia con i Quattro Canti, la piazza ottagonale della Palermo barocca e opulenta dove si affacciano le statue dei quattro fiumi della città, le stagioni, i regnanti storici e le sante patrone, per poi proseguire verso Piazza Pretoria. Anche detta Piazza della Vergogna per la nudità delle statue che la circondano, per me rappresenta un altro esempio della ricchezza architettonica di una città in cui gli stili si rincorrono continuamente.

Qui si possono trovare tra le chiese più maestose e gli edifici che portano ancora le ferite della guerra, si possono incontrare coppie eleganti lungo Via Maqueda e ragazzini senza casco che portano motorini scassati. Lo dico sapendo bene che guardo con gli occhi di una turista, ma ogni volta che torno penso sempre la stessa cosa; Palermo è viva, è multirazziale, pulsa di etnie e tradizioni anche delle passate invasioni. C’è Casa Professa (meglio conosciuta come Chiesa Del Gesù) con il suo tripudio barocco, Santa Maria dell’Ammiraglio con i mosaici bizantini, la Chiesa di San Cataldo con le cupole rosse dal sapore arabeggiante.

A Palermo l’occhio non si stanca mai per la varietà che offre. Una visita ai mercati vale la pena farla; noi abbiamo scelto Ballarò per una passeggiata tra i banchi di pesce fresco e ancora lucido di acqua salata, le casse di spezie e i pentoloni che ribollono di olio pronto a friggere qualsiasi cosa. Qui la street art si incontra con i vecchi sonnecchianti sulle sedie di paglia e la lingua degli stranieri con quella locale.


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Ci fermiamo a mangiare all’Antica Focacceria S. Francesco, un locale storico dove mangiare una cucina tipica. Va detto che come posto è leggermente turistico, sia nei prezzi che nei sapori, ma io continuo a trovarlo gradevole nonostante i camerieri siano un po’ scostanti e il cibo sia “carico”. Sedersi a bere un bicchiere di vino bianco ghiacciato con un’arancina per me vale ancora la pena.

Con le ultime forze rimaste ci dirigiamo allo Spasimo, famoso perché della chiesa esistente è rimasto solo lo scheletro, per poi proseguire verso Piazza Magione con i suoi palazzi dilaniati e finire con Palazzo Butera, storica dimora, oggi centro polifunzionale con una biblioteca e spazi espositivi, riportata a nuova vita dai coniugi Valsecchi, filantropi e collezionisti.
Che poi io ogni volta che leggo “filantropi e collezionisti” vorrei sapere come si fa a prendere la certificazione. Mi ci vedo vestita con dei caftani di lino importato da qualche costa e delle collane di otto kg e mezzo al collo, i capelli bianchi costantemente legati e mio marito vestito sempre con un cardigan qualsiasi sia la temperatura. I collezionisti compiono automaticamente 70 anni appena qualcuno scrive che sono tali.

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Chiusa questa parentesi totalmente gratuita, ritorniamo alla fine della nostra terza giornata a Palermo, che concludiamo prima assaggiando la cucina gourmet di Bruto e poi bevendo birra al Bukowski. Per inciso, a Palermo il costo della birra è da denuncia, per istigazione all’alcolismo.

GIORNO QUATTRO – Continua il nostro percorso di espiazione dai peccati culinari, nella speranza vana di riuscire a perdere almeno un grammo di tutto quel fritto. Passiamo davanti al Teatro Massimo (la cui vista sui tetti di Palermo è semplicemente eccezionale), ci perdiamo tra i vicoli stretti con le lenzuola stese ad asciugare, entriamo nell’imponente Cattedrale della Santa Vergine Maria Assunta (parte del percorso arabo-normanno patrimonio Unesco) e arriviamo alle Catacombe dei Cappuccini. Qui sono raccolti all’incirca ottomila corpi perfettamente conservati grazie a tecniche di mummificazione che li preservano da secoli. È un luogo talmente suggestivo che a quanto pare rientrava nelle tappe del Grand Tour e personaggi come Alexandre Dumas e Guy de Maupassant si fermarono qui in visita. I corpi sono divisi per ruolo sociale (dottori, avvocati, soldati), per genere sessuale e per età. Il cadavere più famoso e anche più impressionante è quello della bambina Rosalia Lombardo, che morta ad appena due anni, è stata mantenuta talmente integra da meritarsi il soprannome di “bella addormentata” perché sembra che stia dormendo.
In conclusione: le catacombe valgono una visita? Sì, io sono una grande fan di cimiteri, cripte e luoghi di culto. Purtroppo non sempre questi luoghi riescono a trasmettere la sacralità che potrebbero quando diventano mete turistiche per gente a caccia di selfie con il morto.
Finita la parte macabra, passiamo il pomeriggio a Mondello accompagnati da un caro amico, tra gelati chiacchiere e l’acqua azzurra del mare, giusto in tempo per preparare lo stomaco alla pantagruelica cena al Vecchio Club Rosanero, una trattoria che ha unito due grandi passioni: il calcio e il cibo. Qui si mangia, circondati dalla collezione di memorabilia della squadra di calcio del Palermo, una cucina tradizionale sincera ed economica. Per me tappa fissa ogni volta che torno. Un unico avvertimento: i titolari e i camerieri non sono sempre affabili, anzi, a volte possono risultare burberi, ma per mangiare la loro pasta con ricci di mare e gambero rosso di Mazara del Vallo, mi farei sputare anche in un occhio.
Finiamo la serata a digerire all’Alibi, tra rum, fresconegro e gruppi dal vivo.

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ULTIMO GIORNO – È tempo di tornare a casa e di salutare ancora una volta Palermo. Qui ho portato il Dottore perché volevo che conoscesse le persone che ho imparato ad amare, volevo che sentisse il calore di una terra che sa essere generosa e che costruisse insieme a me dei ricordi da rispolverare per i giorni faticosi.
Soprattutto volevo che riportassimo, insieme ai kg, la consapevolezza che l’amicizia può davvero superare tante cose. Può farti sentire a casa a km di distanza, può risollevarti quando pensi di non avere più la forza di rialzarti e può ricordarti chi sei, da dove sei venuto e cosa puoi ancora meritare. Può prenderti a schiaffi quando hai bisogno di essere fermato e ricominciare a camminare con te.
Ecco, tante cose sono successe e tante devono ancora succedere, ma quello che so è che gli amici sono quelli che ricominciano con te, in una rinascita corale in cui ogni volta riprendono a camminare insieme a te. E ogni volta che ho pensato di non farcela, che un nuovo inizio mi sarebbe costato troppa fatica, loro hanno preso quella fatica e se la sono spartita perché il mio percorso fosse più leggero.

Questa, alla fine, è un po’ una dedica: per i vecchi amici e per i nuovi, che hanno voluto iniziare una nuova vita con me.