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2019. Una non lista di buoni propositi

Ho pensato a lungo se partecipare anche io al tradizionale resoconto dell’anno che sta per concludersi così da fare posto ai prossimi dodici mesi nuovi di zecca e la risposta, mi sembra evidente, è stata perché no?
In verità vi dico che sto attraversando una fase di indolenza che mi avrebbe fatto desistere se 1) il Dottore non mi avesse minacciata di cose indicibili che comportano una perdita di sangue, se non avessi preso in mano il computer e 2) alla fine tirare le somme fa sempre un gran bene. Quello che ieri era il diario segreto, che a rileggerlo oggi fa morire dal ridere, oggi è un post, un blog, una newsletter. In tutti questi casi serve a prendere le distanze dalle esperienze, a fermare i momenti, a seguire il percorso che uno ha fatto, a condividere, a consigliare, ad aiutare.
Mai come quest’anno ho letto tante newsletter e articoli di blog, sono passata di palo in frasca dall’ascoltare un podcast sul potere emotivo del cibo, a leggere un post su Instagram. Ecco, il 2019 è stato l’anno in cui ho ricominciato a scegliere me; so che si dice spesso quando si scrivono cose per salutare il vecchio anno, ma io ho letteralmente scelto me. E nello scegliermi, ho scelto anche chi doveva accompagnarmi in questo cammino, a livello figurato e fisico.
Ho scelto, per esempio, Gianluca Diegoli, un uomo del marketing con una capoccia così, il quale nella sua ultima newsletter scrive: “… a fine anno si fanno i bilanci, di solito accompagnati da previsioni ma soprattutto da obiettivi. Per fare bilanci però ci si deve essersi fissati degli obiettivi: e io – come persona – non ho mai avuto granché voglia di fissarmeli. Un peccato, perché deve essere bello dire “wow, obiettivo riuscito”. Avere la risposta pronta a come sarai tra cinque anni. Cose così.”. In pochissime parole ha riassunto il mio anno.
Io non sono qui a riportare un bilancio del 2019 perché gli obiettivi che avevo ho dovuto modificarli in corsa. Il che non significa non avere ambizioni o progetti, ma vuol dire sapere quando essere indulgenti con se stessi. E io che non lo sono di natura, con me stessa soprattutto, sto imparando come fare.
Un’altra persona che seguo sui social, Myriam Sabolla, in un post recente su Instagram scrive: “Mi dispiace non essere sempre il role model che altri si aspettano da me. Che io stessa mi aspetto. E voglio imparare a farmene una ragione, e anche a raccontare che non tutto è rose e viole, nella vita.”.

Sul finire di questo anno, ho dovuto lasciare andare le aspettative di me e su di me per aprire le porte all’imperfezione.
A novembre, appena tornata da uno dei viaggi più belli della mia vita finora, mi sono dimessa. L’anno scorso concludevo il mio anno scrivendo del ruolo da team leader che mi era stato affidato all’interno della mia azienda. Come dice Valentina Aversano nel suo podcast Pesto, “si può essere altro, si può essere di più, di meno, dipende”. Questa cosa bisognerebbe ripetersela come mantra ogni giorno per non dimenticare che le cose non sono immutabili e scolpite nella pietra, ma possono e devono cambiare. Io ho iniziato il 2019 coprendo un ruolo che non avevo mai fatto, che mi ha portato a tanto dolore quando pensavo di non essere all’altezza e a una gioia incontenibile quando venivo ringraziata dal mio team per quello che stavo facendo.

Succede poi, come in amore, che il rapporto venga messo in discussione, perché cambiano le prospettive, gli obiettivi, i valori. Allora si può provare a resistere, a stringere i denti, a fare un passo indietro per non dare un calcio avanti, ma a un certo punto bisogna lasciare andare. Non tutti i rapporti valgono la pena di essere combattuti per tenerli in piedi. Alcune volte bisogna solo avere l’onestà di dire “questo non fa per me”.
Non è stata una decisione semplice, né una scelta presa sull’onda delle emozioni. Mi sono confrontata tanto e a lungo con tutta una serie di persone su cosa fosse meglio per me e alla fine mi sono lasciata indietro quel lavoro che tanto mi aveva dato dal 2016. Hanno influito sulla mia presa di posizione alcuni fattori non irrilevanti. Su tutti la presenza di un compagno di vita che si è dimostrato disposto a sacrificarsi pur di vedermi felice e di questo sono incredibilmente grata; non tutti possono dimettersi perché possono contare sullo stipendio dell’altro. So che se fossimo stati in difficoltà economica io questa scelta avrei dovuto rimandarla, ma dopo tanto discutere abbiamo convenuto che data la situazione di cassa, potevo permettermi di volere qualcos’altro.
Nonostante l’amore di questo ragazzo così giovane e così determinato, ci sono stati e ci saranno momenti in cui io crollerò e lui dovrà sostenermi non solo economicamente. Ho pianto a singhiozzi una domenica sera quando ho realizzato che il giorno dopo non sarei andata a lavoro. L’ho fatto di nuovo quando ho dovuto chiedergli dei soldi per una spesa che pensavo avrei dovuto affrontare. Dimettersi, come lasciare una persona, come qualsiasi altra scelta che compiamo, non è tutto rose e fiori. C’è l’umiliazione, la paura di essere troppo grandi e mai all’altezza per rimettersi in discussione, il senso di colpa.
Qui entra in gioco il secondo fattore: l’ambiente. I colleghi hanno una parte fondamentale nella nostra vita lavorativa, considerando che a volte li vediamo più spesso delle nostre famiglie. Fino a un certo punto i miei colleghi erano veramente fighi e alcuni lo sono rimasti, ma non era sufficiente. Sarebbe come pretendere che una coppia rimanga insieme perché guarda qualche serie tv insieme. Alcune delle persone che sono state assunte da un certo periodo in poi, si sono rivelate manipolatrici, arroganti e oltre tutto poco stimolanti. Succede. Ho pensato anche se fosse il caso di scriverlo o meno e poi mi sono risposta che sì, si può essere onesti a volte. Anzi bisogna esserlo e dire che non è vero che: “tanto tutti i lavori sono uguali, che ti credi pure dalle altre parti trovi lo stronzo”. Maddai!
Ma sempre per tornare alla mia metafora preferita, quella di una coppia, è come costringere due persone a rimanere insieme perché “tanto pensi che con un altro/altra sarebbe diverso?”.
Purtroppo le persone con cui stavo a più stretto contatto non si sono rivelate in grado di insegnarmi qualcosa o di apprendere qualcosa o di sostenere un discorso che andasse oltre le battute da osteria. Quindi voglio scriverlo perché magari qualcuno possa trovare conforto nelle mie parole: io me ne sono andata principalmente per cercare la mia strada, ma anche perché alcune persone sarebbero state da prendere a testate sul setto nasale. So che mamma non approverà quanto scritto e non solo lei, ma ragazzi, ho deciso che tra i miei valori ci dovrà essere sempre di più l’onestà.

A questo proposito, tornando a quanto scritto più su, nella ricerca di questa strada più mia, ho cominciato a frequentare persone che invece potessero contribuire in maniera più positiva alla mia vita.
Sono stata seguita da una mia amica in un percorso di counseling (sì Emma, sto parlando proprio di te) che mi ha aiutata tanto a fare chiarezza in quell’ammasso informe di paure e frustrazioni che mi stavano tenendo bloccata nello stallo alla messicana in cui mi ero infilata. Sì perché oltretutto io non sono granché capace a cercare lavoro mentre lavoro. Ho lasciato la mia azienda senza un piano B. Emma ha avuto un ruolo fondamentale nel tenermi la mano su questo nuovo cammino.

Quando si è infelici, di solito vengono emessi molti segnali, più o meno consci. L’abbrutimento che si era impossessato di me in conseguenza all’insoddisfazione professionale, ha portato a una serie di effetti, tra cui l’instupidimento. A un certo punto mi sono chiesta se non fossi diventata irreversibilmente stupida; non leggevo più, non scrivevo abbastanza, non mi interessavo alle cose. La mia attività principale era tornare a casa e stordirmi con Netflix. E pensare che da ragazza ero una lettrice vorace, cosa di cui si stupivano anche i professori. Io ero quella che al liceo fece il tema migliore dell’istituto, tanto da meritarmi la stretta di mano del presidente della commissione.

Poi vengo a conoscenza di un gruppo di lettura di Roma, Strategie Prenestine, che si incontra una volta al mese per proporre un libro da leggere tutti insieme. All’inizio neanche ci volevo andare per non trovarmi di fronte a gente preparatissima dovendo ammettere che io ero lì per essere curata da questa mia apatia intellettuale. Sono andata, ho iniziato a leggere i libri proposti mensilmente come compito da fare, ho continuato scegliendone di mia spontanea volontà, ho conosciuto delle persone veramente in gamba, con alcune ho iniziato a scrivermi, a confidarmi. Di questo ringrazio le fondatrici Valentina Aversano e Carola Moscatelli, per avermi rassicurato che non stavo diventando stupida.

Le persone, dicevamo, che fanno sempre la differenza. Ho rinsaldato ulteriormente i rapporti con i miei amici di sempre, alimentato quelli freschi, iniziato a conoscere persone nuove. Ho cercato chi mi sembrava mi potesse far crescere, non solo a livello professionale, ma umano. Ho perdonato e ho visto perdonare. Sto provando a perdonare me stessa di non essere perfetta, di essere fallibile. Mi sto circondando di persone che sappiano ricordarmelo, con cui confrontarmi, da cui apprendere.

Siccome sto perdendo il filo del discorso da quando ho iniziato a scrivere perché i pensieri e i sentimenti si affollano per essere appuntati, riassumo dicendo che il 2019 è stato pieno di persone. Come ho già detto altrove, se potessi scriverlo sul curriculum, metterei “Agnese Iannone. Nata a Roma il primo dicembre millenovecentottanta. Amata moltissimo”.
Quindi le persone, ma anche tutto l’amore che sono riuscite a trasmettermi in questo anno di crisi. Non è scontato, ma l’amore lo vedi dalla fine, non dagli inizi. Perché siamo tutti bravi nell’essere amichevoli e comprensivi quando le cose vanno bene, ma quando le strade si dividono, cosa rimane?
In questo 2019 ho visto coppie di amici, anche di lunga data, lasciarsi. Ho visto gli atteggiamenti cambiare, la rabbia sostituire il rispetto e ho pensato a quanto è facile puntare il dito e sgomitare per sedersi sul trono della “parte lesa”. L’ho visto fare nella vita lavorativa e in quella privata, giudicare senza mai mettersi in discussione. Sottolineare le mancanze e addossare le colpe.
Per fortuna per ognuna di queste, esistono persone che sanno ringraziare, sanno essere riconoscenti, sanno andare avanti in maniera sincera. Agli amici che stanno soffrendo per una storia finita, ai colleghi che rimangono tali anche quando le strade si dividono, a me che dovrò ancora lavorare sulle mie paure voglio ricordare di circondarsi di persone valide, oneste, compassionevoli, stimolanti. Che esistono e non bisogna mai smettere di pretendere perché “tanto dalle altri parti è uguale”. Non è uguale, non credeteci.

In conclusione, sperando di aver mantenuto un discorso non del tutto farneticante, come dice il buon Gianluca, non faccio bilanci perché non mi ero posta degli obiettivi. Ero partita team leader e mi sono dimessa. Ho fatto un viaggio bellissimo in America che considero un po’ la nostra luna di miele. Ho ricominciato a leggere, a scrivere, ho tenuto un bullet journal, sono andata a trovare gli amici su e giù per l’Italia. Ho un cucciolo di fidanzato che ogni volta mostra la dignità di un re e mi ricorda di comunicare, sempre, con tutti. Ho organizzato un Capodanno D&D con mia sorella e il ragazzo. Non ho speso tutti i soldi della liquidazione ma lo farò per qualche corso che ho già adocchiato. Ho una famiglia che mi ama. Ho degli amici che mi amano. Anche quest’anno ho accumulato tanto di quell’amore che potrei passare il 2020 in un eremo ma corca’ che lo farò perché voglio festeggiare i quarant’anni. Non ho un lavoro e al momento sto cercando di capire cosa dove perché. Ho qualche idea ma niente di serio. So che a questo punto della mia vita, posso dire cosa non mi va di fare. Non mi va di svegliarmi la mattina “tanto a fine mese mi pagano”. Non mi va di accettare qualsiasi cosa perché un lavoro è un lavoro. Non mi va di circondarmi di persone che contribuiscono alla mia vita con lo spessore di un filo che penzola da un bottone.  Non mi va di rimanere ferma per la paura di essere fuori tempo massimo per fare qualsiasi cosa, perché alla mia età hanno già tutti scritto un ebook, fatto dieci anni come consulenti nell’azienda prestigiosa, sono freelance affermati e sanno tutto di SEO, SEM e altre parole in libertà.

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Il mio 2019 finisce con tante sbavature, cose che non so fare, cose che devo ricominciare a imparare, ma con qualcosa che era da tanto che non mi permettevo, il tempo per farle.