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Il museo vuoto

Quando una bionda lascia che parte dell’anima le venga rosicchiata da un topo di biblioteca, il risultato è una come me. Un po’ Sheldon un po’ Penny, un po’ Paris Hilton un po’ Neil deGrasse Tyson, uno dei piaceri che ho cercato di mantenere nel tempo sono i musei.
All’inizio erano le gite con la scuola, occasione più sociale che culturale. Il giorno della gita non potevi essere interrogato, era l’apice della trasgressione e mamma ti dava i soldi “perché magari vuoi comprare un souvenir”. Che di solito era un panino da McDonald, ma questa è un’altra storia.
Tutte quelle visite, però, devono aver fatto breccia nella cortina ossigenata dei miei capelli, seminando una certa attrazione reciproca tra me e l’arte. Attrazione basata più sull’aspetto fisico che intellettuale.
Io con il mio gusto un po’ rozzo e una sindrome di Stendhal da discount, lei con i suoi modi austeri e a volte un po’ distanti.
Qui entra in gioco l’argomento principale di questo articolo: l'”empty museum” e come mi ci sono ritrovata dentro.

CENNI STORICI

Facciamo un po’ di chiarezza. L'”empty museum”, letteralmente museo vuoto, è un movimento nato da un tale Dave Krugman nel 2013. Dave è un ragazzetto con cui ho avuto il piacere di passare
una settimana in Salento la scorsa estate. Ce l’avete presente quegli hipster riservati che camminano ciondolando con la barba e camicie improbabili? Ecco. Lui è stato il primo a proporre una visita al Metropolitan Museum di New York dopo l’orario di chiusura, invitando alcuni Instagramers. La formula piacque talmente tanto, che venne poi ripetuta a Londra e da lì divenne una consuetudine all’interno di Instagram.
In pratica cosa succede quando si viene invitati a un empty museum. Alcuni Instagramers vengono chiamati per scattare foto e far conoscere all’esterno una realtà già conosciuta come quella museale, ma rendendola in una prospettiva unica. Questo evento, infatti, presenta dei risvolti enormi: il primo tra tutti è l’esclusività. Passeggiare indisturbati per un museo pressoché deserto è emozionante. Le opere vengono vissute in maniera più profonda, non disturbati dal vociare della folla. Questo permette, altresì, di sviluppare maggiore creatività rispetto al modo di scattare. Non c’è fretta nella visita e il silenzio contribuisce alla creazione. Un altro vantaggio, poi, è la promozione della struttura. Là dove, da sempre, il museo è vissuto come un luogo sacro che raramente si concede ai comuni mortali, la formula “empty” permette di avvicinare due realtà apparentemente così distanti. Da un lato il museo si rende più accessibile a tutti, dall’altra il pubblico si sente maggiormente invogliato alla visita. Complici anche le nuove tecnologie e forme di comunicazione, l’arte si avvicina al popolo con una veste più amichevole. So che in molti hanno storto il naso di fronte a questa alleanza, ma d’altronde la sopravvivenza dei musei dipende anche dalla capacità di attrarre il pubblico, ricorrendo a metodi come l’utilizzo dei social e di un linguaggio più “popolare”.

URBINO – PALAZZO DUCALE

Fatto tutto questo preambolo, come già accennato all’inizio, l’attrazione tra me e l’arte ha fatto in modo che io venissi invitata a diversi eventi in ambito “empty”. Dall’Accademia Carrara di Bergamo al Castello del Valentino a Torino, cito solo alcune delle recenti manifestazioni a cui ho partecipato.
Cominciamo dal Palazzo Ducale di Urbino e relativa Galleria Nazionale.
Già la visita a Urbino vale il prezzo del biglietto. Città che si estende su un territorio collinare, vanta il suo centro storico come patrimonio dell’umanità UNESCO. Qui si respira Rinascimento a pieni polmoni e il Palazzo Ducale ne è il simbolo perfetto. Voluto nel XV secolo dal Duca di Urbino, è un edificio maestoso già dal cortile interno fatto di portici ad arco. Nelle sale interne è possibile riconoscere la magnificenza degli ambienti, con soffitti altissimi e grandi camini. Le opere ospitate sono tra le più famose, dalla Flagellazione del Cristo di Piero della Francesca alla Venere di Urbino a opera di Tiziano, motivo principale della nostra visita. Il dipinto, infatti, a distanza di quasi cinque secoli dalla committenza di Guidobaldo II della Rovere, è tornato nella sua città di origine per un breve periodo.
Se non siete stati tra i fortunati che hanno potuto vedere il quadro ospitato fino al 18 dicembre 2016, fate sempre in tempo a visitare il resto della meritevole Galleria Nazionale.
Un consiglio: se avete tempo, fermatevi a dormire all’Urbino Resort, una tenuta che ha riportato in vita le antiche case coloniche di un borgo rurale, per farne una struttura alberghiera nel rispetto dei principi territoriali.

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TERME DI DIOCLEZIANO E MOSTRA DI JEAN ARP

Appena tornata da Urbino, mi aspetta la visita alle Terme di Diocleziano, in occasione della restrospettiva su Jean Arp, maestro francese che ha avuto un ruolo di primo piano nell’ambito delle avanguardie culturali e tra i fondatori del movimento Dada.
Stavolta si gioca in casa e proprio per questo devo subito fare un’ammissione di colpa: se ero mai stata in questo posto, io non ne ho memoria. Essere nata e cresciuta in una città, causa spesso il rimandare la visita di tanti luoghi a un tempo non meglio definito. La chiesa Tal dei Tali? Mai vista, ma tanto sono di Roma, prima o poi ci andrò. E così per tanti altri posti rimasti inosservati, inascoltati.
Prendiamo le Terme di Diocleziano, il più grandioso complesso termale mai costruito nel mondo romano. Ci sarò passata davanti un miliardo di volte quando ero liceale e l’autobus passava di fronte alla struttura. La sua superficie vastissima comprendeva anche Piazza Esedra, che a molti non dirà niente, ma per me ha significato un punto di riferimento importante negli anni. Le manifestazioni quando ancora c’era un sentimento politico partivano da lì. Gli appuntamenti con gli amici venivano dati quasi sempre alla fontana, così facilmente individuabile. Eppure ho perso la possibilità di conoscere meglio la storia, rinviando quel momento a poi, tanto c’è tempo.
L’empty museum, in questo senso, ha dato nuova linfa vitale a luoghi che stavano rischiando di cadere nel dimenticatoio.
Nelle solenni sale del museo si sviluppa la mostra di Jean Arp, in un dialogo continuo tra le forme care al maestro e la classicità del luogo. Volutamente uso la parola dialogo per sottolineare come l’artista francese abbia subito negli anni la fascinazione degli studi antichi, che tornano nelle sue opere. Basta soffermarsi sulla sinuosità delle linee di molte sculture per ritrovarci un richiamo della cultura classica.
Anche questo è un aspetto importante della nuova realtà museale che vuole aprirsi ad altre forme di comunicazione e all’interazione con altri stili artistici.
Parole apparentemente in libertà per darvi un consiglio da amica bionda: niente slip bianchi al mare se non siete David Beckham e riscoprire i piccoli e grandi musei del nostro Paese. Un futuro luminoso poggia sulla conoscenza del passato.

 

MUSEI CAPITOLINI E MERCATI DI TRAIANO

Sempre all’interno della cornice romana, suggerisco una visita ai Musei Capitolini e successivamente ai Mercati di Traiano.
I primi costituiscono il complesso museale pubblico più antico del mondo, la cui fondazione viene fatta risalire al 1471. Al suo interno, tra le tante opere presenti, è da menzionare la statua equestre di Marco Aurelio in bronzo.
I Mercati di Traiano, come suggerisce il nome, era un centro “polifunzionale” composto da magazzini uffici e negozi, al servizio dell’amministrazione imperiale. Fiore all’occhiello di questa struttura è la vista su Roma che offre.
Se poi a furia di ripetere la parola mercato vi viene fame, vi consiglio di fare quattro passi verso il Rione Monti e fermarvi a mangiare da Zia Rosetta.
Io ho preso un panino con la coratella (le interiora di animali da cortile) e uno con la guancia di vitello.
Perché se è vero che l’occhio vuole la sua parte per nutrire lo spirito, lo stomaco vuole tutto il resto.

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