Antonello Venditti cantava che “certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Il mio rapporto con la scrittura è un rapporto di amore e odio, fatto di lunghe pause di riflessione e improvvisi ritorni di fiamma.
D’altronde come ogni rapporto, anche questo va coltivato e nutrito affinché si mantenga in forma. La scrittura va allenata e alimentata, bisogna trovare il tempo per mettersi lì a raccontare una storia, bisogna avere voglia anche quando c’è una scusa pronta dietro ogni angolo. Lavoro troppo. Devo fare la spesa. Durante il weekend voglio solo fissare il muro davanti a me possibilmente senza perdere la posizione orizzontale. E così le storie passano in silenzio, si leggono quelle altrui e dopo un po’ diventa tutto uguale: il racconto di un viaggio diventa identico a uno politico, le esperienze si appiattiscono e io devo smetterla di riprendere a scrivere dopo avere fatto il rewatch della prima stagione di True Detective!
Ma torniamo al momento subito prima di diventare nichilista. Sono le cinque del primo pomeriggio domenicale di sole dopo settimane di pioggia e io sono di fronte al computer dopo sei mesi in cui ho toccato la tastiera solo per lavoro. O per controllare il meteo. O per cercare qualche albergo. Avrei continuato a percorrere volentieri questa rassicurante via dell’accidia ma il Dottore mi ha messo a fare i compiti. Sono settimane che mi esorta a fare qualcosa per me, qualcosa che mi piaccia fare altrettanto che mangiare ma senza quel piccolo inconveniente dell’ingrassare. Quindi ora sono qui, a digitare lettere a caso perché so che se mi metto a scrollare sul cellulare, lui se ne accorgerà e mi chiederà spiegazioni, mentre io sono una diva del muto mancata che si sta aggrappando alle tende della sua esistenza invece che spalancarle e far entrare la luce. Bella questa, me la devo segnare.
Perciò, ecco, sto scrivendo dopo sei mesi come esercizio. Se non vado neanche in palestra, che qualcosa in me almeno sia allenato.
Sono successe così tante cose in questi sei mesi che se non comincio da qualcosa di semplice, mi arrotolo nel piumone che ancora non ho tolto e mi metto a guardare video di Scottecs su Youtube. Quindi racconterò di una gita fuori porta breve ma intensa a cui ho preso parte questa settimana e che richiede un piccolissimo sforzo di memoria perché, appunto, recente.
Apro una parentesi, poi l’ultimo che esce si ricordi di chiuderla. La scrittura richiede memoria e io in questo momento ho la soglia dell’attenzione di chi ha votato la Lega al di sotto di Vercelli. Ma anche di quelli al di sopra, come vi è venuto in mente?
Ma non perdiamoci. Come sapete, o come non è necessario che sappiate, ogni tanto faccio delle collaborazioni grazie al mio profilo Instagram e alle conoscenze che si sono venute a creare. All’inizio della mia avventura con questo social, quando ancora era tutta campagna e l’influencer marketing era un territorio inesplorato, tendevo ad accettare tutto. Come quando uscivo con gli uomini a vent’anni vs. ora che ne ho 38 e il tempo da perdere si è drasticamente ridotto. Prima esci un po’ con cani e porci, poi affini la sensibilità e cominci a porre dei paletti: che non sia razzista, che non sia fascista, che conosca gli Smiths, che guardi le serie piene di sangue, assassini, gente mutilata.
Detto ciò, anno domini 2019, se mi capita qualcosa che voglio veramente fare, mi ci butto a capofitto. In particolar modo se si tratta di cibo.
Vengo contattata qualche tempo fa per scoprire il ristorante gourmet e la nuovissima struttura del San Gemini Palace. Leggo l’email mentre sono in pausa pranzo, mi chiedono se sarei interessata a fare un’esperienza in questo luxury hotel e di fargli sapere cosa ne penso. Vediamo un po’, cosa ne penso di staccare per due giorni dal lavoro, in uno dei periodi più stressanti della mia vita, per mangiare e dormire in un cinque stelle? Anzi che non mi sono messa in macchina appena finito di leggere l’email.
Il San Gemini Palace è un piccolo gioiello incastonato tra i vicoli dell’omonimo borgo, un piccolo e confortevole hotel composto da poche e curatissime camere, un ristorante raffinato, una spa e tutto l’occorrente per rilassarsi nel silenzio delle colline umbre. Il paradiso o uno dei possibili paradisi dove passare qualche ora della propria vita.
Mettiamo subito le cose in chiaro: non è un posto alla portata di tutti. Non è una pensione a conduzione familiare, non è un ostello da ragazzi in interrail (a proposito, ma esiste ancora l’interrail?), non è una struttura dove fermarsi alla bisogna. Questo hotel è un posto a cui dedicarsi intenzionalmente, è come farsi le coccole tra le lenzuola fresche di bucato attardandosi a letto invece di mettere su una lavatrice. Un lusso, nel vero senso della parola.
Arriviamo in un pomeriggio piovoso e la prima cosa che mi colpisce è il calore degli arredi, dei muri in pietra, dei sorrisi di chi ci accoglie. Entrare lì è come lasciarsi avvolgere dal cotone, tutto diventa ovattato e si crea una morbida barriera contro la vita quotidiana. E questo è solo l’ingresso. Poi ci sono le camere che meritano un capitolo a parte. Senza neanche bisogno di dirlo ma lo dico comunque, lo spazio di ogni camera è veramente sfacciato, il letto così ampio che ho avuto paura di perdermi tra i cuscini e non trovare più la strada di casa e il bagno largo abbastanza da contenere anche un pouf. Un pouf capito? Tante volte si volessero intavolare conversazioni mentre uno si sta facendo il bidet e l’altro non sa dove sedersi ma ha urgenza di parlare.
Ora, io ho una passione per i bagni. Cucine e bagni sono i miei locali preferiti in assoluto. La cucina perché è la stanza in cui la mia famiglia tuttora si raduna quando ci incontriamo; anche se c’è un comodissimo soggiorno, noi ci ammassiamo in cucina. Sulla mia passione per il bagno non ho mai indagato abbastanza, ma tant’è.
Il bagno in questione, poi, è decisamente a cinque stelle. Ci sono asciugamani ovunque, accappatoi morbidi e ciabattine ordinate nelle loro confezioni di plastica in attesa di essere scartate. Ci sono due lavabi, ognuno con il proprio spazzolino, il dentifricio e la versione da viaggio di collutorio. C’è il set da barba per lui. La doccia è grande quanto il mio di bagno e se all’improvviso sorge la necessità di esfoliazione, c’è anche un guanto per lo scrub.
Last but not least, in camera c’è l’occorrente per preparare un tè delle cinque, un caffè orientativo o un aperitivo prima di andare a cena. Tutto compreso.
Immaginate quindi la mia voglia di uscire fuori da quella stanza quando avevo ancora da aprire tutti i barattoli di shampoo, provare il guanto per lo scrub e abbracciare ogni cuscino. Il punto è che quando ti invitano nelle strutture o ti inviano prodotti da provare, il fine ultimo è far conoscere quel servizio/prodotto. Peccato che io viva qualsiasi cosa con la stessa disinvoltura con cui mi sono presentata all’esame di maturità e questo, se da una parte può essere un bene perché mi spinge a cercare il massimo della professionalità, dall’altra mi fa sentire fuori posto in quasi metà delle situazioni. Nella fattispecie, cercherò di riassumere la situazione che mi si stava presentando in una pratica top five:
- Io avevo un paio di jeans neri, una giacca nera per la cena e delle scarpe di H&M del 1922, lise in punta e nere. Mercoledì Addams con l’unica nota di colore data dai miei capelli biondi. Il resto della comitiva, composto per la maggior parte da gente esperta nel settore beauty/fashion, si era portato dietro: un vestito per la cena, uno per il dopocena, uno se Giove fosse entrato in trigono con Urano, uno nel caso si trovasse in transito nel Sagittario. Io mi ero dimenticata pure gli orecchini.
- Io scatto solo con il cellulare perché sono una nostalgica del social che fu, lì il meno attrezzato aveva il ring luminoso per fare i selfie.
- Il peso corporeo dell’intera compagnia a malapena sfiorava il mio.
- Le donne avevano la piastra, il ferro arriccia capelli, l’alabarda spaziale, mentre io, uscita un attimo sotto la pioggia, al rientro sembravo una tossica in cerca di riparo.
- Non mi ero depilata e c’era la spa.
Per fortuna i ragazzi con me erano tutti organizzatissimi ma anche molto collaborativi, il che mi ha permesso di sentirmi a mio agio per la maggior parte del tempo. Tranne quando mi sono state fatte alcune foto la mattina dopo e mi sono ricordata che io odio farmi fotografare. Bellissime foto senza dubbio, ma io avevo una canottiera e i tatuaggi in vista. Nella mia testa sarei dovuta sembrare una Suicide Girl: bella dannata e un po’ lasciva tra le coperte di quel letto. Invece sembrava un servizio su uno di quei buzzurri di Casapound che protestava a Torre Maura.
Torniamo però a noi. Dopo aver fatto un breve giro per i vicoli di San Gemini per quanto permesso dal meteo e aver fatto una veloce visita alla spa, indossata la mia divisa d’ordinanza da Impero Galattico mi dirigo verso il ristorante.
Siete mai stati in compagnia di gente social? Come posso spiegarlo, è come stare sul set di un film porno: vuoi fingere rilassatezza, ma hai tutti intorno che ti guardano. O che guardano il tuo profilo Instagram. E prima di arrivare al clou della scena, ci vuole un po’. Quando vi trovate tra “influencer” e vi dicono di andare a cena, conoscerete il vero significato dell’espressione “tra il dire e il fare”.
Intanto ci sono le foto pre cena, quando hai ancora la forza di tenere in dentro la pancia e il trucco non è colato. Le ragazze intorno a me erano fatte della stessa sostanza di cui sono fatti gli hentai. Schiene nude, spalle scoperte, capelli morbidi e la scioltezza di chi davanti a un obiettivo sa come muoversi. Io la naturalezza di una burrata appoggiata su un divano.
Finalmente ci sediamo a tavola e lì sono nel mio ambiente. L’atmosfera è rilassata e ospitale, non c’è la rigidità di certi ristoranti blasonati dove non sai se quel coltello servirà per tagliarti le vene o tagliare qualche filo d’erba in salsa di rafano. Questa è stata una componente fondamentale dell’intero soggiorno: il San Gemini Palace è un hotel di classe che però mantiene una dimensione intima dove potersi sentire veramente accolti.
Lo stesso chef, che propone una cucina innovativa nella tradizione, si rivela una persona garbata che puoi incontrare la mattina mentre va al mercato a comprare gli ingredienti del giorno.
La cena è composta da dodici portate che spaziano dal plancton al piccione, dallo spritz al foie gras, per un percorso enogastronomico che coinvolge tutti i sensi. Il palato gioisce al gusto morbido dell’uovo al tartufo, il tatto si diverte a rompere la lastra di Campari, l’occhio ammicca di fronte ai colori del risotto allo zafferano e crema di zenzero, l’olfatto ringrazia per il profumo rassicurante della lasagna e l’orecchio si rilassa al suono del vino versato nei bicchieri scintillanti.
Per me il cibo è una religione e io lo onoro rimandando dietro i piatti vuoti.
Finisco la serata sull’enorme letto, vinta dalle troppe emozioni.
Il giorno dopo continua a piovere ma per noi le sorprese non sono finite. La sala che la sera prima ospitava il tavolo imbandito per la cena, ora offre una delle colazioni più belle mai viste. C’è così tanto cibo che non so se mettermi a piangere o ficcare i cornetti nelle tasche dei pantaloni. C’è il dolce da raffinata pasticceria e il salato della tradizione umbra, frutta fresca, frutta secca, sembra di stare alla corte di un qualche re che vuole impressionare i suoi ospiti. E ci sta riuscendo. Le promesse della sera prima – domani mica lo so se ce la faccio a fare colazione – si infrangono sulla pastafrolla delle crostate e scopro che il mio stomaco è soppalcato.
È quasi giunto il momento dei saluti, ma prima alcuni di noi riescono a trovare il tempo di fare qualche foto. Anche io, che con sprezzo del pericolo e sguardo fiero rivolto al nemico, mi metto in costume senza essermi depilata e di fronte a due ragazze bellissime, magrissime e con 25 cambi d’abito. Ma più che la dignità, può la suite presidenziale che ha la vasca idromassaggio interna con vista sulle colline. Anche una dura e pura come me ha lasciato a terra la timidezza insieme all’accappatoio e si è goduta questo momento di sfrenato relax.
Finisce così la mia esperienza a cinque stelle al San Gemini Palace, ma prima di far passare altri sei mesi da quando il Dottore mi guarderà e mi dirà “vuoi scrivere?”, vi lascio con alcune considerazioni.
Intanto sull’importanza del concetto di accoglienza che le strutture ricettive non sempre ricordano di dover portare avanti. Questo hotel è a tutti gli effetti un cinque stelle ma senza essere spocchioso o distante. Costa, è vero, ma vale ogni soldo speso per l’esperienza a 360 gradi che ti permette di vivere e per l’accoglienza genuinamente calorosa.
Una riflessione, inoltre, va fatta sull’influencer marketing. Ancora oggi si tende a credere che i numeri siano quanto di più affidabile ci sia in circolazione, dimenticando che qui non si parla di matematica, ma di coinvolgimento e stima del proprio pubblico. Mettere i brand in mano a gente che ancora non sa distinguere un apostrofo da un accento, svilisce il brand stesso. Chiamare una persona perché ha un seguito di quarantamila follower non meglio identificati, non è sinonimo di successo. Ho visto gente sponsorizzare prodotti senza mai aver mostrato interesse, attitudine o compatibilità con quel prodotto. Ho visto farlo per il gusto di dire “vedi, c’è qualcuno che mi pensa”. Ho visto campagne su Instagram senza alcun piano editoriale, senza uno straccio di strategia, venti influencer che pubblicano lo stesso contenuto alla stessa ora e quel contenuto andare perso, nel tempo, come lacrime nella pioggia.
Quindi un applauso va a chi resiste, da una parte o dall’altra della barricata; a chi usa il mezzo con intelligenza, a chi riconosce un congiuntivo e non ha paura a usarlo.
Infine un ringraziamento va a chi, là fuori, ancora resiste e crede nel cambiamento, brand, aziende, utenti, influencer, agenzie, amici, nemici, differentemente amici. Alla prossima puntata!
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